Instant marketing: cos’è, caratteristiche ed esempi

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“Carpe Diem: cogli l’attimo”. Una massima latina perfettamente applicabile anche nell’ambito della comunicazione con l’instant marketing, un approccio comunicativo molto usato sui social. Facebook, Instagram e TikTok  hanno dato visibilità a campagne di instant marketing, e sono diversi i brand che si cimentano spesso con l’instant media marketing, integrandolo nella loro strategia di comunicazione.

Cosa si intende per instant marketing

È molto probabile che tu ne abbia sentito parlare almeno una volta, ma cosa si intende per instant marketing? Anche definito real time marketing, si tratta di un modus operandi focalizzato sulla produzione di contenuti sulla scia di ricorrenze o news.

Oggi è San Valentino, la festa degli innamorati? C’è un un argomento in trend che sta catalizzando il traffico in rete? Un personaggio famoso ha avuto un’uscita buffa che è diventata un vero e proprio meme nel giro di poche ore? Ebbene, tutti questi spunti potrebbero essere propizi per una campagna di instant marketing.

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Instant social marketing – come funziona

L’instant marketing ha trovato il suo habitat naturale sui social network, al punto che si può tranquillamente parlare di instant social marketing. Le piattaforme social sono per natura delle enormi casse di risonanza che facilitano la rapida diffusione di notizie,eventi, trend. Nel momento in cui un brand intercetta tempestivamente una news dal potenziale virale, ne può ricavare in breve tempo un contenuto da postare per cavalcare l’onda della viralità. Tutto ciò sperando cioè che si innesti questo meccanismo: alcuni followers della pagina aziendale visualizzeranno il post e a loro volta lo condivideranno sul loro feed personale il contenuto, facendolo conoscere anche a utenti che non seguivano già il marchio in questione, e così via.

Si può quindi affermare che è proprio l’immediatezza tipica dei social ad aver reso possibile una simile strategia di comunicazione, altrimenti improponibile con i tempi di realizzazione dell’advertising tradizionale. È di fondamentale importanza che il post venga prodotto in tempi brevissimi, prima dei competitor e della fisiologica perdita di interesse da parte degli utenti.

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Instant media marketing – caratteristiche

Scopo dell’instant social marketing è aumentare la brand awareness ovvero la notorietà del marchio.
Un brand che sceglie di ricorrere all’instant media marketing necessita innanzitutto di ottimo tempismo. Al di là degli eventi già noti al calendario, quali ricorrenze, giornate mondiali e festività, la rete garantisce un flusso di informazioni denso e frenetico. Tenere occhi e orecchie bene aperte e captare le notizie più appetibili è alla base di una strategia efficace di instant marketing, ma non basta. Anzi questo è solo l’inizio.

Se la reattività alle news è il prerequisito dietro le campagne instant marketing, la creatività e la freschezza sono ciò che veramente fa la differenza. Un contenuto di instant social marketing rimane di fatto una pubblicità e come tale deve colpire nel segno, senza però cadere nel cringe **[vedi a fine articolo]. La chiave del successo è perciò ideare un concept capace di declinare l’evento o la news in maniera ingegnosa e al contempo coerente con le Facebook ADS , le campagne già in essere, tono di voce e valori del brand e storytelling aziendale.

Un ulteriore aspetto che ha contribuito alla progressiva affermazione dell’instant marketing nelle menti dei creativi è quello economico. Rispetto a campagne più elaborate che prevedono magari anche costi di shooting fotografico, i costi di produzione sono decisamente inferiori, e la condivisione del contenuto ad opera dei followers si trasforma inoltre in pubblicità a costo zero**[vedi a fine articolo].
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Campagne di instant marketing – quali errori evitare

Anche se l’instant marketing si basa proprio sull’estemporaneità, è importante mantenere una buona capacità di giudizio. Ad esempio, fare ironia su avvenimenti negativi o lontani dai temi a cui i follower sono abituati, può generare un pessimo ritorno di immagine e un potenziale danno economico.

Al netto delle eccezioni, data l’essenza generalmente divertente e scanzonata dei contenuti virali, l’instant media marketing funziona per brand giovani, magari popolari tra la Gen Z, e che già abitualmente adottano un tone of voice ironico e informale. In tutti i casi è richiesta una maggiore dose di accortezza per non trasformare un’idea apparentemente brillante in un clamoroso autogol.

Campagne instant marketing – esempi

Ma quali sono state le più celebri campagne di instant marketing? Esempi memorabili sono:

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  • Pasta Garofalo: dai social è emerso che una delle lamentele più ricorrenti degli amanti della pasta è quella che il tempo di cottura non risalta nel packaging. Garofalo ha colto la palla al balzo per pubblicizzare il suo pacco di pasta in edizione limitata con minuti di cottura in primo piano, al centro della confezione. Un ottimo esempio di tempismo unito ad attenzione verso il cliente;

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  • Barilla Cinema: pasta e italianità. Un binomio imprescindibile. Quale migliore occasione del trionfo della Grande Bellezza alla Notte degli Oscar 2014 per rimarcare con orgoglio l’appartenenza al Belpaese? L’allusione al cognome di Paolo Sorrentino è la ciliegina sulla torta del concept creativo;

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  • Oreo: nel 2013 il brand è stato prontissimo a twittare ironicamente in corrispondenza di un blackout avvenuto durante il Superbowl, l’evento sportivo più seguito in America. Con un gioco di parole Oreo ha ricordato che anche al buio, è sempre un buon momento per sgranocchiare un biscotto. Il risultato? Più di 15.000 retweet;

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  • Tempo: il gossip è una fucina di spunti impareggiabile per le campagne di instant marketing. Tempo lo sa bene e ha sfruttato la fine dei Brangelina per diventare virale sui social, facendo riferimento a Friends, la celebre sit-com con protagonista Jennifer Aniston, ex di Brad Pitt che è rimasta nel cuore dei fan.

 

**Considerazioni finali:

Numeri grandi, bassa qualità, conseguenze peggiori

Come detto sopra, cogliere l’ondata di viralità porta facilmente a gonfiare le statistiche social di interazioni e visualizzazioni “gratis”. Verissimo.
Ma prima di assumere uno degli autori di Zelig nel reparto marketing, i brand dovrebbero riflettere su quale valore reale porti al brand, fare dell’ironia online su fatti di cronaca e costume. Nella gran parte dei casi infatti i temi sono talmente lontani dal mondo in cui il brand opera, che finito il trend ci si ritrova tra i nuovi follower persone che nulla hanno a che fare con il nostro marchio e che non interagiranno mai più con i nostri contenuti: in fondo, erano venuti solo per una battuta no?

Così facendo, si rovina spesso per sempre la fan base della pagina che, generando meno interazioni percentuali, viene sempre più penalizzata dagli algoritmi che determinano la reach organica.

Kino o Cringe?

Nel lanciarsi dentro l’arena dell’ironia e post-ironia social, i brand rischiano di produrre contenuti che provano a far ridere, ma fanno pena. Tecnicamente si direbbe che rischiano di creare contenuti boomer, normaloni (ironia basica a zero layer), o peggio ancora cringe, ovvero imbarazzanti. Anzichè un bel meme fresco, kek, croccante, o kino (che nel dizionario urbano significa di eccellente qualità). Battute cioè che sembrano vecchie, fuori tempo, fuori luogo. Ma se lo zio avvinazzato al pranzo di Natale può permettersi il lusso della battutona boomerona perché tanto è in famiglia, su internet un umorismo boomer, normalone o cringe può creare su specifici segmenti di mercato (Gen Alfa, Gen Z) un pregiudizio difficile da rimuovere anche dopo anni.

Per questi due motivi noi sconsigliamo a tutte le PMI di lanciarsi nella folle avventura dell’instant marketing e lavorare solo di marketing tradizionale. Meglio lasciare questo campo ai colossi multinazionali che sono più capaci di sostenere le eventuali shitstorm che potrebbero nascere e che annegano le boutade in campagne pubblicitarie da decine di migliaia di euro al giorno.

Leggi anche l’articolo: Vetrofania per vetrina: cosa è, a cosa serve e tipologie

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Meme marketing: definizione, pro e contro, applicazioni

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Navigando sul web, capita di continuo di imbattersi nei meme. La rete è infatti letteralmente inondata da questa tipologia di contenuti ad alto tasso di viralità e molti di essi diventano dei veri trend in brevissimo tempo. Com’era lecito aspettarsi, i meme hanno trovato terreno fertile anche nel marketing e sempre più brand li utilizzano sui loro canali ufficiali. Eppure, come spieghiamo nell’articolo di oggi, il meme marketing è uno strumento da utilizzare con attenzione e che non sempre rappresenta il giusto modo di comunicare.

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Meme – significato

Ti sei mai chiesto qual è il meme – significato? Il termine proviene da lontano. Viene coniato dall’etologo Richard Dawkins, che nel suo libro del 1976 “Il gene egoista” lo usa per riferirsi a idee, azioni o stili che si diffondono nella cultura di massa, attraversando le generazioni, tramite meccanismo di imitazione ed evoluzione, come i geni fanno generazione dopo generazione. Gli internet memes sono la loro controparte digitale, ovvero contenuti, idee e tendenze che si diffondono in maniera virale sulla rete. Vengono catalogati in 3 tipologie:

  • Meme testuali: anche detti copypasta o pasta, ovvero dei testi che diventano famosi e vegono continuamente citati e riadattati in diversi contesti.
  • Image meme : Immagini, per lo più scene di serie tv, film o fumetti, accompagnate da un testo. Vengono recepiti da un pubblico di massa.
  • Video meme: Brevi spezzoni di clip, spesso trasformati in gif animate, usate per lo più come reazioni durante le conversazioni, piuttosto che come oggetti di comunicazione con vita propria.

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Cosa vuol dire meme marketing

Meme marketing significa sfruttare la viralità di un contenuto riconoscibile da molti (il meme) per veicolare un messaggio pubblicitario verso un vasto pubblico, fruttando il contenuto divertente o autoironico del meme scelto. Per questo motivo i brand utilizzano i meme per aumentare l’engagement sui social. Il meme marketing prevede dunque l’utilizzo di meme per:

  • Veicolare un messaggio del brand;
  • Interagire con il proprio pubblico;
  • Sponsorizzare un prodotto o un servizio.

Fare marketing con i memes è quindi un’opzione di comunicazione versatile, in quanto si prestano a essere integrati nel calendario editoriale di un brand e condivisi su social, blog e qualsiasi altro canale di comunicazione aziendale. Tuttavia si tratta di un tipo di comunicazione non canonico, quindi può essere utilizzato solo in determinati settori: per esempio difficilmente vedremo meme marketing per le PMI di stampo tecnico.
Attenzione: provare a utilizzare un contenuto memetico senza conoscere e padroneggiare appieno i diversi strati ironici che lo compongono porta invariabilmente a risultati pessimi, poiché come è virale la diffuzione positiva del messaggio quando usato correttamente, così lo è la potenziale shitstorm (pioggia di insulti) che può generare un meme usato in maniera scorretta.

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Meme marketing: gli STEPPS

Anche se non esiste il decalogo per la creazione del meme perfetto, è possibile identificare delle caratteristiche che accomunano le campagne di meme marketing di maggior successo. Il docente universitario Jonah Berger, ha riassunto nell’acronimo STEPPS i punti centrali per creare contenuti virali:

  • Social currency (Valuta sociale): Indica quanto il contenuto sia percepito come migliore e distintivo rispetto ad altri.
  • Triggers (Inneschi): Determina l’associazione di un prodotto a situazioni che, quando si verificano, riportano il consumatore al messaggio veicolato dal contenuto.
  • Emotions (Emozioni): Rappresenta il potenziale dei contenuti di provocare un’emozione nell’utente e generare una condivisione.
  • Public (pubblico e riprova sociale): Il pubblico è l’utenza che mette una reaction, commenta o condivide il contenuto, determinandone la viralità. L’aumento delle condivisioni alimenta il meccanismo di riprova sociale che fa sì che i contenuti più amati siano quelli preferiti dalla maggioranza.
  • Practical Value (valore pratico): Indica i valori di utilità e rilevanza del contenuto.
  • Stories (storie): Racchiude la capacità del contenuto di raccontare una storia e di invogliare alla condivisione.

È inoltre importante sottolineare che l’utilizzo dei meme nella comunicazione aziendale non deve eclissare altre forme di linguaggio. Di conseguenza, è bene dosare l’umorismo, strutturando il piano editoriale in maniera eterogenea, inframmezzando qualche meme all’interno di un ampio piano di contenuti più tradizionali.

Meme marketing aziendale: pro e contro

L’utilizzo dei meme nel marketing è davvero efficace in una strategia di comunicazione? La nostra risposta è che molto dipende dal contesto in cui opera l’azienda. I meme hanno degli innegabili vantaggi oggettivi: sono carichi di ironia, si diffondono con estrema rapidità, sono perfetti per l’instant marketing ed esaltano la comunicazione di brand con un target giovane, già caratterizzati da un tono di voce divertente.

I meme però non possono essere utilizzati in maniera indiscriminata. Quando si cura la presenza online di un professionista o di un’azienda, bisogna chiedersi se il meme marketing abbia una reale utilità nel processo di costruzione della sua brand identity. Nel caso del marketing sanitario i meme non possono trovare spazio, in quanto le priorità devono essere trasmettere autorevolezza e competenza, prediligendo contenuti volti a instillare fiducia nei pazienti che si vogliono affidare ad un professionista serio.

Attenzione anche a non forzare la mano in situazioni storiche dove l’umorismo può risultare fuori luogo. Un esempio recente è quello del meme marketing in tempo di pandemia. In quel contesto i contenuti ironici realizzati da alcuni brand, pur venendo inizialmente premiati dai numeri, hanno generato un ritorno di immagine negativo.
Abbiiamo inoltre già citato le trappole di un uso scorretto (da boomer) del meme.

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I memes: applicazioni

Ecco alcuni esempi di applicazioni del meme marketing:

  1. Durex: Brand che si rivolge a un target giovane, Durex dimostra come l’affrontare tematiche serie con ironia rientri perfettamente nella sua strategia di comunicazione costruita negli anni. In questo caso il messaggio di sensibilizzazione si lega alla frase virale pronunciata da un noto politico italiano nel suo inglese maccheronico.
  2. Barilla: Quello che vedi qui in foto è un ottimo esempio di come è possibile sfruttare il meme marketing per vivacizzare una campagna di comunicazione incentrata su uno stile tradizionale. Il riferimento è a un video diventato virale nel 2021 su Youtube.
  3. ClioMakeUp: Con un pubblico composto principalmente da giovani donne, per un suo post Clio ha scelto di utilizzare un meme tratto dalla celebre serie Una Mamma per Amica per pubblicizzare il suo shop.

Leggi anche l’articolo: Newsletter: a cosa serve e perché è importante

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Newsletter: a cosa serve e perché è importante

Creare una newsletter è ancora oggi importante? Se hai un business è molto probabile che ti sei posto almeno una volta questa domanda. Inevitabilmente l’email marketing può sembrare qualcosa di, almeno a prima vista, fuori dal tempo. In un’epoca in cui produrre contenuti è sempre più facile e vengono privilegiate forme di comunicazione dirette e interattive, c’è ancora spazio per le care vecchie mail?
Ebbene, in una strategia digital strutturata, anche qualcosa di apparentemente datato come creare una newsletter, può rivestire un ruolo fondamentale. Il segreto sta tutto nel fare l’uso corretto di ogni mezzo a  disposizione: la newsletter non fa eccezione ed è, ancora oggi, un ottimo mezzo per raggiungere contatti, promuovere prodotti e raccontare qualcosa riguardo i valori del brand.

Newsletter – cosa è

Per newsletter si intende l’invio ricorrente di contenuti tramite email a una lista di utenti che hanno rilasciato i propri dati e l’autorizzazione a essere contattati. In italiano viene anche detta “Bollettino”. I contenuti vengono declinati a seconda dello stile di comunicazione e della tipologia del brand. Una volta compiuta l’iscrizione alla newsletter i sottoscrittori avranno quindi una forma di contatto privilegiata con il brand, dal quale riceveranno periodicamente una mail promozionale o informativa.

È bene sottolineare che la newsletter deve avere una cadenza periodica (giornaliera, settimanale, mensile…). L’invio singolo di una mail con fini promozionali, ricade infatti nell’ambito del Direct Email Marketing (DEM). La newsletter unisce al fine commerciale anche quello della fidelizzazione dei contatti attraverso contenuti personalizzati e ricorrenti, non necessariamente collegati ad un’offerta promozionale o a una richiesta di acquisto.

Newsletter – perché è fondamentale per il tuo business

Inviare una newsletter ai propri contatti è dunque ancora oggi una parte importante di una strategia di business. L’aspetto vitale è sicuramente quello della raccolta dei dati: bisogna infatti cercare di strutturare al meglio la fase di segmentazione dei contatti così da poter creare contenuti destinati ad hoc. Conoscere età, sesso, provenienza e interessi di chi segue il brand è cruciale per ottimizzare la newsletter sulla base degli interessi effettivi dei contatti e migliorarne la programmazione.

Il principale vantaggio della newsletter è quello di poter indirizzare verso pagine specifiche del sito aziendale, del blog o dello shop digitale, una lista di clienti selezionata e dal livello di interesse tendenzialmente alto. La newsletter è inoltre economica rispetto ad altri strumenti solitamente messi in campo in una ampia strategia di comunicazione e ci si può avvalere di software come MailUp o Mailchimp: questi risultano molto efficaci se correttamente impostati da una web agency. Inoltre questo strumento è molto performante: alcune stime dicono che il suo ritorno sugli e-commerce superi il  4.000% rispetto agli altri canali.

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Newsletter template – Struttura e design

Esistono tantissimi esempi di newsletter differenti, data la natura altamente personalizzabile del mezzo. Da un punto di vista comunicativo la mail deve rispettare il tono di voce del brand, così da garantirne la riconoscibilità. Si può comunque identificare una struttura ricorrente che si ritrova nei vari template newsletter:

  • Oggetto mail: Rappresenta il gancio principale per stimolare l’interesse del cliente. Un messaggio chiaro ma allo stesso tempo accattivante garantisce un più alto tasso di apertura.
  • Frase di apertura: Introduce il cliente al contenuto della mail e definisce il nostro tono di voce. Dobbiamo parlare a chi non effettua un acquisto da un po’? Una frase come “Ciao, è da tanto che non ci si vede” può fare ad esempio sentire il cliente più apprezzato.
  • Corpo della mail: Il cuore del messaggio che vogliamo mandare. Il suo contenuto cambia a seconda della tipologia di newsletter: promozionale, informativa, narrativa…
  • Call to action finale: L’invito all’azione è determinante. Anche in questo caso è necessario ricercare la coerenza con il tono di voce aziendale e con l’obiettivo dichiarato della mail, favorendo soluzioni creative per invogliare al click.

Anche il design scelto per la newsletter deve essere in linea con la brand identity. Si può optare per un layout minimale, per un’impostazione con layout tipo magazine, o per uno stile più creativo, magari integrando altri media come immagini o video. Qualsiasi sia la decisione è importante che si sposi perfettamente con l’identità del marchio e con le altre modalità comunicative che compongono la strategia digitale complessiva.

Come creare una newsletter adatta al tuo business – tipologie

Quando si decide di creare una newsletter, l’accorgimento più importante è quello di tenere sempre a mente l’obiettivo strategico che vogliamo perseguire. Dalla fase di iscrizione alla newsletter, alla redazione di ogni singola mail, tutti gli sforzi devono essere finalizzati al suo raggiungimento. È possibile comunque ritrovare delle tipologie ricorrenti in base alla funzione rivestita dalla newsletter, che può:

  • Comunicare novità riguardo il brand, il settore di interesse o avvenimenti importanti;
  • Raccontare qualcosa del brand e delle persone che ne fanno parte, nell’ottica di una più ampia strategia di storytelling aziendale o di rubriche tematiche;
  • Offrire sconti e promozioni esclusivi per gli iscritti: magari in corrispondenza della data di sottoscrizione o del compleanno;
  • Regalare materiale promozionale come un ebook o un video;
  • Proporre l’iscrizione a un videocorso, a un concorso o a forme di abbonamento;
  • Reindirizzare il lettore verso un articolo del blog, o verso una pagina del sito;

Qualche esempio newsletter

Uno degli aspetti più interessanti è in definitiva la versatilità di una newsletter. Esempi pratici delle varie tipologie possono rendere ancora più chiari i motivi per cui programmarla è un vantaggio definitivo per il tuo business.

  • La cucina italiana è una nota rivista italiana che sul suo sito offre ricette, video, corsi, tutorial e news a tema culinario. Ogni settimana invia ai suoi iscritti una newsletter che contiene le ultime ricette pubblicate sul sito. In questo modo incanala traffico sul sito che fa posizionare meglio in SERP le pagine e gli articoli;
  • Il Sole24Ore mette a disposizione addirittura tre newsletter quotidiane: Daily24, Scuola24 e Sanità24 mantengono i lettori del quotidiano costantemente aggiornati, personalizzando il flusso di informazioni in base agli interessi e reindirizzandoli poi sul sito principale del quotidiano;
  • Internazionale invia con cadenza bisettimanale una rubrica di approfondimento sugli avvenimenti riguardanti l’America Latina sotto forma di newsletter.

Leggi anche l’articolo: Blog aziendale: cos’è, vantaggi e funnel marketing

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Blog aziendale: cos’è, vantaggi e funnel marketing

All’interno di una strategia di marketing efficace, la creazione del blog aziendale riveste ancora oggi un’importanza considerevole. Pensare al blog aziendale come qualcosa di datato è un errore da non compiere assolutamente quando si vuole costruire in maniera soddisfacente la presenza online della propria attività.
Una corretta gestione del blog aziendale assicura infatti un incremento importante dei processi di brand awareness e di lead generation. In altri termini, un blog aziendale ben strutturato può far sì che la nostra azienda venga sempre più conosciuta dai potenziali clienti, generando un maggior traffico verso il sito e aumentando di conseguenza la vendita dei prodotti o servizi proposti.

Cos’è un blog aziendale

Il blog è uno strumento di comunicazione ormai ampiamente diffuso, la cui affermazione è iniziata già a partire dagli anni ’90. Di fatto un diario online attraverso il quale condividere contenuti con i propri lettori, il blog aziendale rappresenta una sua evoluzione applicata al marketing.
Non bisogna però compiere la leggerezza di pensare ai blog aziendali come dei semplici luoghi virtuali in cui scrivere rivolgendosi ai clienti senza programmazione alcuna o per farsi pubblicità in maniera spudorata. Sono piuttosto da concepire come uno spazio informativo dove l’azienda si interfaccia ai clienti come esperta del settore, mostrando competenza nell’esposizione dei contenuti e capacità di analisi di casi pratici.

A cosa serve un blog aziendale

Prima di procedere alla creazione di un blog aziendale, bisogna avere quindi ben chiaro a cosa serve. Un blog aziendale è lo spazio del sito dove un professionista, un brand o un’azienda parlano direttamente al cliente, intercettando le sue esigenze e rispondendo alle sue domande in maniera esperta e, di conseguenza, generando fiducia.
Ecco allora che parlare delle bellezze del territorio all’interno del blog di una struttura ricettiva, diventa un modo per condurre alla prenotazione di una camera, facendo leva sul desiderio di viaggiare del turista. Uno studio medico a sua volta farà della divulgazione tramite blog uno strumento per far capire ai potenziali pazienti quando è il caso di prenotare una visita. Gli esempi sono molteplici e la corretta gestione di un blog aziendale passa da un sapiente mix di creatività e pianificazione.

Vantaggi della creazione blog aziendale

Se si volessero riassumere in una sola frase tutti i vantaggi derivanti dalla creazione di blog aziendali, si potrebbe dire che essi generano nuove opportunità. Più nel dettaglio:

  • Le aziende che procedono con la creazione blog aziendale, incrementano di molto il traffico verso il loro sito, arrivando a moltiplicarlo ben oltre il 100% del traffico generato unicamente dai servizi/prodotti. Per questo motivo è importante pubblicare con una certa cadenza contenuti coerenti con la propria offerta e i propri valori, così da indurre il visitatore a permanere più tempo sul sito e a tornarci periodicamente.
  • Tramite il blog possiamo non solo migliorare la brand awareness (notorietà), ma anche l’autorevolezza dell’azienda. Pubblicare contenuti diretti come guide, raccolte di consigli e soluzioni pratiche a problemi frequenti, farà sì che il pubblico ci percepisca come un riferimento nel settore di appartenenza.
  • È possibile integrare la pubblicazione di contenuti sul blog aziendale con una strategia di email marketing. Tramite form e widget, possiamo quindi raccogliere indirizzi mail dei clienti, per proporre ulteriori offerte o per inviare newsletter tematiche.
  • Infine il blog aziendale può anche ospitare voci di altri esperti o influencer del settore, funzionando come una sorta di hub di una rete più ampia di cui l’azienda è parte.

Gestione blog aziendale: dove si colloca nel funnel

Una corretta gestione del blog aziendale permette a questo strumento di essere efficace su tutto il funnel di marketing. Questo rappresenta il processo che va dal primo incontro tra cliente e brand, fino alle fasi successive all’acquisto.

Alla luce di quanto appena detto è importantissimo che la gestione del blog aziendale avvenga in maniera professionale. I contenuti del calendario editoriale devono essere pensati per coprire ogni passaggio del funnel e ottimizzati per essere ben posizionati sui motori di ricerca (Seo Friendly). Allo stesso tempo, bisogna accertarsi che il blog sia davvero efficace nel percorso compiuto dal cliente verso l’acquisto.

Per comprendere al meglio la relazione tra blog aziendale e funnel, è possibile dividere il percorso di canalizzazione dell’acquisto in tre parti:

  1. Parte superiore del funnel (TOFU): In questa prima parte a svilupparsi è la considerazione della potenziale clientela verso l’azienda. L’utente ha un problema o una necessità e cerca su internet una soluzione. I post del blog adatti in questa fase sono quelli informativi, per presentargli il nostro parere da esperto su un determinato servizio che risponde alle sue esigenze.
  2. Parte intermedia del funnel (MOFU): Una volta che il potenziale cliente ha preso maggiore consapevolezza dei suoi bisogni, si troverà a considerare le alternative. L’obiettivo è quello di portarlo a sceglierci tramite contenuti più approfonditi come guide ed analisi dedicate che evidenziano le soluzioni uniche applicate dall’azienda.
  3. Parte inferiore del funnel (BOFU): La fine del funnel corrisponde con la decisione finale del nostro possibile cliente. In quest’ultima fase si può dunque fare maggiormente leva sulla fiducia che abbiamo generato attraverso i post: il cliente a questo punto ci vede come fonte autorevole. Sono utili in tale fase confronti di dati, casi studio.

Leggi anche l’articolo: Processo di acquisto online: cos’è, fasi e ottimizzazione

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Processo di acquisto online: cos’è, fasi e ottimizzazione

Se almeno una volta nella vita hai comprato qualcosa da un e-commerce, conosci le fasi del processo di acquisto online. O meglio: potresti ipotizzarle e magari anche parlarne un pò, ma probabilmente non le hai mai guardate da vicino e analizzate nel dettaglio. L’esperienza di acquisto delle persone può sembrare qualcosa di complesso e irregolare e controllarla appare difficile, se non impossibile. È vero: le persone non sono delle macchine e i loro comportamenti non sono razionali (come più volte i modelli economici hanno dimostrato), ma non per questo bisogna gettare la spugna.

Il processo di acquisto online ha delle “regolarità“, dei pensieri e delle azioni ricorrenti che possono e devono essere analizzate e ottimizzate. Nell’articolo raccontiamo queste fasi condividendo gli strumenti che abbiamo a disposizione per gestirle.

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Cos’è il processo d’acquisto online

Il processo d’acquisto online è la successione di pensieri e comportamenti che portano una persona a comprare un prodotto su internet. Si tratta di vere e proprie fasi, ognuna caratterizzata da domande che l’utente si pone e azioni che può compiere per avvicinarsi sempre di più all’ordine.

In generale possiamo dividere l’esperienza di acquisto in tre momenti:

  • Awareness. In questa prima fase le persone si rendono conto di avere un nuovo bisogno.
  • Consideration. Dopo la presa di coscienza, si passa all’azione: nella fase di consideration le persone cercano una soluzione al proprio bisogno.
  • Conversion. L’ultimo step, ovvero l’acquisto. Questo è il momento in cui si decide che quel prodotto o servizio rappresenta la soluzione al bisogno iniziale.

Entriamo ora nel dettaglio di questi tre momenti adattandoli al contesto in cui tutto avviene: internet.

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Fasi processo di acquisto online

Sono 8 le fasi processo di acquisto online e nascono proprio per descrivere nello specifico il nostro comportamento quando compriamo un prodotto da un e-commerce o in generale sulla rete.
La prima fase è l’attrazione. Tutto inizia con la creazione di un bisogno nelle persone: in questo frangente l’azienda tenta di raggiungere il proprio target per fargli rendere conto di qualcosa che ancora non sa. Se ci pensiamo, prima di scoprire che esistesse Netflix, non sentivamo il bisogno di guardare film e serie tv in streaming tutte le sere.

La fase due è l’interesse. Una volta che le persone hanno scoperto il loro nuovo bisogno e l’azienda che può soddisfarlo, lo step successivo è generare interesse. Nel concreto significa incentivare le persone a scoprirne di più, a informarsi e restare sul sito dell’azienda.
Il terzo step è la considerazione e il desiderio. La ricerca approfondita dell’utente deve trasformarsi a un certo punto in desiderio e possibile acquisto. È in questa fase che si fa leva su tecniche come il senso d’urgenza, che invogliano le persone a considerare di comprare e di farlo ora.

Le fasi quattro, cinque e sei dell’esperienza di acquisto online sono legate ai passaggi da fare su un e-commerce: aggiunta al carrello, processo di checkout, conferma dell’ordine e spedizione.
Durante queste fasi le parole d’ordine sono convenienza e semplicità. Stupire le persone con uno sconto inaspettato o un omaggio le aiuterà a non abbandonare il carrello: cosa che avviene in certi contesti nell’83% dei casi. Poi, più il processo di checkout e pagamento è semplice, meno rischi ci sono che le persone si interrompano o si spazientiscano.

Le ultime due fasi del processo di acquisto online sono il post vendita e la fidelizzazione. Una volta ricevuto l’ordine, il cliente non va abbandonato. E-mail di conferma e ringraziamento, iscrizione a una newsletter per il direct marketing, questionari per la raccolta feedback e l’invito a un programma fedeltà sono tutti ottimi metodi per far sì che quell’acquisto sia il primo di molti.

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Ottimizzare il processo di acquisto online

Ora che abbiamo passato in rassegna le otto fasi del processo di acquisto online, è il momento di parlare degli strumenti e delle tecniche che abbiamo a disposizione per aiutare le persone ad arrivare alla fine del funnel.

Durante la fase di attrazione, esistono ad esempio un ampio numero di azioni che permettono all’azienda di raggiungere il proprio target. Tra queste:

Nella fase di interesse e considerazione invece, è bene lavorare il più possibile sul design dell’esperienza dell’utente sul portale dell’azienda. La UI (User Interface) e la UX (User Experience) devono avere un unico obiettivo: facilitare l’acquisto. Anche agire sul senso di urgenza e sulla riprova sociale è utile in questa fase. Presentare la scadenza di un’offerta e mostrare delle recensioni positive sono metodi efficaci per farlo.

Se i carrelli abbandonati sono statisticamente troppi, potrebbe essere utile integrare delle campagne e-mail (o SMS) di re-marketing. In queste comunicazioni l’obiettivo è ricordare alle persone del loro bisogno e incentivarle a completare l’ordine. Infine, per ottimizzare le fasi finali di un acquisto assicurati di offrire quante più opzioni possibili ai tuoi clienti sia in termini di check-out sia di spedizione e metodi di pagamento.

Leggi anche l’articolo: Buyer Personas: definizione e applicazione nel marketing

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Buyer Personas: definizione e applicazione nel marketing

Il concetto di buyer persona nel marketing è una nozione fondamentale per definire il target di riferimento e l’identità di un brand. Per massimizzare l’efficacia delle proprie strategie di vendita e comunicazione è infatti necessario capire chi sono gli utenti a cui ci stiamo rivolgendo.
Nell’articolo di oggi approfondiremo proprio il tema delle buyer personas: dalla definizione alla profilazione, fino alla loro importanza nell’attività di comunicazione aziendale.

Buyer personas – cosa sono

“I nostri clienti ideali sono le nostre buyer personas”. Definizione sicuramente sbrigativa, ma efficace. La buyer persona è di fatto un modello di coloro che hanno acquistato, acquistano o acquisteranno, i prodotti o i servizi della nostra azienda. Pur essendo una rappresentazione ideale, è importante cercare di integrare in essa quanti più tratti psicologici dei clienti reali.

Tuttavia, sarebbe riduttivo fare aderire completamente il concetto di buyer persona a quello di target di riferimento. In un marketing che lascia sempre più spazio alla dimensione valoriale ed esperienziale, la questione non ruota più intorno solo alla vendita del prodotto o del servizio. Ciò significa che la buyer persona è un archetipo di chi, prima ancora di comprare dalla nostra azienda, si rivede nei suoi valori e nel modo in cui essi vengono comunicati.

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Buyers personas – a cosa servono

Definire in maniera corretta e dettagliata le buyers personas serve a orientare il brand nelle sue strategie di marketing e comunicazione, consolidando il suo posizionamento nel mercato in maniera coerente alla propria immagine. Lo scopo è dunque quello di definire parametri quali:

  • Coinvolgimento
  • Conversione
  • Fidelizzazione

Un brand che ha ben identificato le sue buyer personas è dunque in grado non solo di migliorare i prodotti o i servizi offerti, ma di creare contenuti che tengano conto di ciò che i clienti desiderano o si aspettano. Delineare con cura la buyer persona significa giocare d’anticipo, proponendo magari una campagna pubblicitaria o un’ app correlata al nuovo prodotto sapendo contemporaneamente di andare sul sicuro e poter incontrare il favore di nuovi clienti.
In altri termini un brand che conosce bene il modello del proprio cliente ideale può creare un customer journey e una user experience su misura, incrementando contemporaneamente profitto e brand awareness.

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Buyer persona – come profilarle

Le buyer personas sono il risultato di un attento lavoro di ricerca e analisi dei dati raccolti. Questo processo non si basa più soltanto sui criteri socio-demografici, ma anche sull’integrazione di dati psico-grafici che offrono una più completa profilazione psicologica del cliente. Esempi di dati socio-demografici sono:

  • Età
  • Sesso
  • Nazionalità e residenza
  • Livello di istruzione
  • Stato civile e composizione del nucleo familiare
  • Occupazione e fascia di reddito

Queste voci rimangono senza dubbio una parte importante del processo di profilazione delle buyer personas. Ad esempio, sapere che buona parte dei nostri clienti sono donne delle grandi città tra i 30 e i 40 anni, con alto livello di istruzione e occupazione, è già di per sé cruciale per definire le strategie di marketing da adottare.

Quello che però manca ai dati socio-demografici è l’aspetto umano, ovvero cosa pensa il cliente reale, quali sono i suoi valori, le sue abitudini di vita, le sue aspettative verso il brand. È qui che entrano in gioco i dati psico-grafici in quanto, grazie al loro utilizzo, un brand può scoprire:

  • Abitudini di vita: Cosa fanno i nostri clienti nel loro tempo libero? Come vivono la loro vita?
  • Abitudini di acquisto: Il cliente compra in digitale o vuole recarsi in negozio? Preferisce scegliere tra molti prodotti o avere poche varianti?
  • Valori e aspettative: Cosa si aspetta il cliente dal nostro brand? Perché ci sceglie rispetto ai competitor? Quali valori condividiamo?

Identificare il profilo delle buyer personas della propria azienda è un processo complesso, basato sull’armonizzazione di dati diretti e indiretti che vanno dalle statistiche rilevate dagli insights delle campagne sui social media, come le Facebook ADS, alle risposte dirette a sondaggi, e-mail commerciali o questionari. È possibile utilizzare tool e template dedicati per incasellare i dati raccolti secondo le linee guida aziendali.

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Buyer persona marketing – perché vanno individuate nelle strategie di comunicazione

Si può quindi affermare che la definizione della buyer persona è uno degli aspetti cetnrali nella costruzione di una brand identity organica ed efficace. Brand e clienti non sono poli opposti di una relazione venditore-compratore. Oggi i clienti sono prima di tutto fan: vogliono vivere esperienze, identificarsi con un brand, condividere aspirazioni e ideali. Ciò significa che un brand deve costruire la propria identità ed evolverla nel tempo, insieme ai desideri e alla personalità dei clienti.

Questo deve riflettersi non solo nei contenuti creati e nei linguaggi utilizzati, ma anche nei temi di natura etica e sociale sposati per una proposta di valore che va ben oltre la pubblicità e la vendita di un prodotto.

Leggi anche l’articolo: Web reputation – cos’è, come gestirla e strumenti

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Web reputation – cos’è, come gestirla e strumenti

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Coltivare la web reputation della propria azienda è essenziale. I consumatori sono soggetti attivi: condividono le proprie esperienze, parlano dei brand e si interessano della web reputation aziendale prima ancora di comprare un prodotto o servizio. Lo confermano anche Trustpilot e Trusted Shops: oltre il 40% delle persone legge sempre almeno una recensione prima di acquistare qualcosa. Quasi una persona su due.
Le recensioni non sono però l’unico indicatore da tenere d’occhio: la reputazione web è fatta anche di tanti altri aspetti. Li presentiamo in questo articolo, accanto a consigli e strumenti per avere il controllo di ciò che le persone dicono del tuo brand online.

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Web reputation cos’è

Possiamo definire la reputazione sul web come l’insieme di ciò che viene detto e scritto online del brand dalle persone e dai media. Ogni commento, ogni conversazione, ogni recensione lascia trasparire l’opinione che gli utenti hanno di un prodotto e della sua azienda.

Sono tre gli indicatori che ci aiutano a valutare la reputation web di un brand:

  • Il buzz, ovvero quanto le persone stanno parlando del brand. Viene calcolato con un’analisi quantitativa, contando le conversazioni che includono una menzione al marchio.
  • Il sentiment. Una volta definita la quantità delle conversazioni, se ne stabilisce la qualità. Il sentiment ci dice se le persone parlano del brand in maniera positiva, negativa o neutra.
  • L’influenza. A volte non basta solo valutare la quantità e la qualità delle conversazioni ma è anche necessario analizzare le fonti, ovvero chi le conversazioni le inizia. Un commento negativo da parte di un influencer non ha certamente lo stesso peso di un commento fatto da una persona qualsiasi. Analizzare l’influenza di chi parla del brand significa valutarne la reach (le persone raggiunte), la rilevanza (quanto l’influencer è esperto del settore) e la risonanza (quanto il suo messaggio è stato ricondiviso o commentato).

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Web reputation personale e web reputation aziendale

Esistono due tipi di web reputation: la reputazione personale e la reputazione aziendale.
Prima dei brand, anche noi in quanto individui abbiamo una reputazione da difendere e coltivare. Online lo possiamo fare facilmente dai nostri profili social, dal sito web personale e in generale con tutte le nostre attività che lasciano tracce digitali.
La web reputation aziendale è alquanto differente perché se quando si parla di reputazione personale le uniche persone coinvolte nel discorso siamo noi, quando si parla di aziende i soggetti si moltiplicano. Dipendenti, investitori, fornitori, clienti tutti possono dire la propria e tutti hanno il potere di influenzare la reputazione internet del brand.
Per questo è importante affidare la gestione della web reputation a degli esperti, magari una web agency a Milano, persone in grado di monitorare il web, costruire in positivo e gestire eventuali crisi.

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Reputazione web – come gestirla

Warren Buffet è solito dire che ci vogliono vent’anni per costruire una buona reputazione e solo cinque minuti per rovinarla. Per costruire una buona reputazione dunque ci vuole tempo e bisogna lavorare su più fronti. Ad esempio:

  • Il community management sui canali social. Rispondere ai messaggi, moderare i commenti e interagire con gli utenti sono azioni fondamentali per costruire reputazione sul web.
  • Lavorare sulla website reputation, la reputazione del sito web. Si aumenta costruendo una rete di citazioni e link provenienti da domini autorevoli che rimandano al tuo portale.
  • Stimolare le recensioni positive. Ogni volta che si è certi di aver soddisfatto un cliente, invogliarlo a lasciare una recensione è importante per la reputazione web del brand.

Anche coltivando la reputazione internet dell’azienda in maniera doviziosa, prima o poi può capitare a tutti di dover affrontare una crisi reputazionale. Una crisi può nascere da un fatto spiacevole accaduto, un cattivo comportamento, un cliente problematico o dalla denuncia da parte delle persone di qualcosa che viene detto online o offline. In ogni caso, l’unica regola sempre valida di fronte a una crisi di reputazione è che va gestita. L’errore più grande che può essere commesso è fare finta di niente.

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Reputation web – strumenti

Chiudiamo questo articolo sulla web reputation aziendale condividendo alcuni strumenti che possono essere utili a gestire la reputazione su internet del tuo brand. Il primo è Google Trends. Si tratta di un tool gratuito che permette di fare un’analisi ampia non solo sulla quantità delle conversazioni online sul brand, ma anche sul proprio settore di appartenenza in generale.

Google Alert è un altro strumento di casa Google che permette invece di ricevere una notifica e una mail ogni volta che qualcuno online parla della tua azienda.

Se hai delle sponsorizzazioni attive su Google Adwords, lo strumento delle parole chiave della piattaforma è un altro tool utile per gestire la web reputation. Grazie a esso si possono analizzare le query e le keyword con cui le persone ti trovano e individuare eventuali nicchie interessanti.

Esistono infine diverse piattaforme premium come Talkwalker che forniscono una panoramica più completa, approfondita e in real time su tutto il conversato online che ti riguarda.

Leggi anche l’articolo: 8 motivi sul perché dovresti aggiornare il tuo sito web

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Brand – significato, positioning, awareness e reputation

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Brand, marca, marchio, identity, equity, positioning, awareness, reputation. Le parole per raccontare le caratteristiche di un brand sono molte e il rischio di confondersi è sempre dietro l’angolo.
In questo articolo vogliamo mettere un po’ di ordine e accompagnarti in una giungla di termini che nonostante la loro complessità sono ciò che sta alla base di un’azienda di successo e consapevole di se stessa.

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Brand significato

Cominciamo dalla domanda più semplice: cos’è un brand? Il brand è l’insieme di segni, prodotti, valori, attività e reputazione di un’azienda. Si tratta di un sistema complesso, un costrutto attraverso il quale si gioca la relazione dell’impresa con le persone. Il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, spiega cosa significa brand con una frase molto semplice e altrettanto chiara: “il tuo brand è ciò che le persone dicono di te quando non sei nella stanza“.
Un brand di successo è riconoscibile, crea fiducia e ha una buona reputazione.

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Brand cos’è e cosa lo distingue da marca e marchio

In italiano la parola “brand” viene tradotta con i termini “marca” e “marchio”. Anche se spesso vengono usati senza distinzione, non hanno esattamente lo stesso significato.

  • La marca è l’insieme degli elementi intangibili tra cui i valori, la percezione delle persone e la personalità di un brand. Il termine “marca” è dunque il più vicino alla definizione di brand data poco fa: potremmo dire che ne è la reale traduzione in italiano.
  • Con marchio si intendono anche tutti gli elementi tangibili. Il logo, i font, i colori, tutto ciò che rende visivamente riconoscibile un brand fa parte del concetto di “marchio”.

Pensiamo ad Adidas per esempio. La sua marca ha a che fare con la nostra opinione sul brand e la sua notorietà. Il suo marchio è invece composto tra le altre cose dalle tre strisce bianche, dal nome e dallo stile dei suoi prodotti.

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Brand Identity e Brand Equity

Ora che abbiamo capito il brand cos’è e qual è il suo significato, siamo pronti a parlare di “brand identity” e “brand equity“.
La brand identity è composta da tutto ciò che il brand dice di se stesso. La vision, la mission, i valori, la personalità, il tono di voce: tutte le caratteristiche di un brand di cui il brand stesso è consapevole ne costituiscono l’identità. Immaginiamo di dover lanciare una nuova attività: in quel momento in cui nessun altro ha ancora visto il nuovo marchio esiste solo la brand identity, ovvero il modo in cui noi da domani vogliamo comunicare con le persone, nel mercato.

Sorella della brand identity è la brand equity. Se la brand identity è ciò che il brand dice di se stesso, la brand equity è ciò che gli altri dicono del brand. Si parla di brand equity per sottolineare il valore che il brand riesce a generare non tanto grazie alle caratteristiche intrinseche di un prodotto, quanto alla percezione che le persone hanno di quel prodotto o servizio. La brand equity è il valore aggiunto, è il motivo per cui una giacca del marchio Patagonia non è uguale a una qualsiasi altra giacca da escursionismo simile.

Brand positioning

Un aspetto importante di cos’è il brand è dato dalla sua posizione rispetto ai competitor. Il brand positioning è il modo in cui noi consumatori mettiamo a confronto le varie marche. È come se ognuno di noi immaginasse costantemente una mappa, uno schema per ogni qualità: eleganza, comodità, simpatia, serietà, ecc… All’interno di queste mappe riusciamo sempre immediatamente a posizionare un brand rispetto a un altro. Ecco che Gucci è più elegante di Legea, Coca Cola è più simpatica di Martini e i confronti potrebbero proseguire.

Essere consapevoli del proprio posizionamento rispetto ai competitor permette ai brand di modulare il modo in cui comunicano alle persone, affermando e sfruttando la propria unicità.

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Brand awareness e brand reputation

Un brand non esiste se nessuno lo conosce. La brand awareness è il grado di riconoscibilità di un brand e si articola su tre livelli:

  • Top of mind: un brand che occupa questa posizione è il primo in assoluto che le persone associano con una determinata categoria merceologica.
  • Unaided awareness: ovvero le persone sono capaci di ricordare il brand di fronte a una domanda generica del tipo “quali marche di gelato conosci?”.
  • Aided awareness: ovvero le persone riconoscono il brand ma solo se una persona gliene parla direttamente.

Mentre l’analisi dell’awareness calcola quanto un brand è noto, la brand reputation punta a scoprire la “qualità” di questa notorietà. Una grande parte di cosa vuol dire brand reputation è data dall’opinione delle persone. Sulla reputazione influiscono anche la qualità dei prodotti, le attività della marca in comunicazione, le reti di relazioni con soggetti terzi costruite nel tempo (ad esempio agenzie, stampa, competitor, rivenditori) e molto altro. Per mantenere una buona reputazione bisogna porre attenzione e cura in tutti questi aspetti, coltivandoli negli anni.

Leggi anche l’articolo: A cosa serve un sito web?

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Siti web aziendali: caratteristiche principali, obblighi di legge

Si stima che in Italia almeno un’azienda su tre non abbia ancora il proprio sito web aziendale. Nel momento storico in cui ci troviamo si tratta di un elemento imprescindibile: è il cuore della tua identità digitale, l’interfaccia principale tra te e i tuoi clienti e, se vendi prodotti o servizi online, è anche il luogo dove avviene la magia dell’acquisto.

I siti web aziendali sono molte cose (una vetrina, un racconto, un negozio, un sistema di prenotazioni…) e possono rispondere a diversi obiettivi. In questo articolo scopriamo tutto ciò che c’è da sapere sulla creazione e sullo sviluppo di siti web aziendali.

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Siti web aziendali: strategia

La prima cosa da definire per creare il sito web aziendale è una strategia. Perché vuoi creare il sito aziendale? Quali sono gli obiettivi che vuoi raggiungere attraverso questo asset? Per aiutarti nella definizione della strategia, ecco i principali obiettivi dei siti web aziendali:

  • Comunicare con il proprio target. Il sito web aziendale è il luogo in cui il brand si presenta e ha la possibilità di comunicare un messaggio in uno spazio in cui è libero di fare ciò che vuole nella forma che vuole, perché di sua proprietà. Sul sito puoi anche aprire dei canali di contatto con i tuoi clienti: servizi di supporto, chatbot, mail, ecc…
  • Dare visibilità all’impresa. La creazione di siti web aziendali è un’opportunità per aumentare l’awareness dell’impresa. Grazie a una strategia SEO ben implementata, il sito può comparire nei primi risultati nelle pagina di ricerca.
  • Vendere. Il sito di un’azienda può anche avere come scopo la vendita. Si tratta di un canale proprietario che può essere scritto, disegnato e progettato nei minimi dettagli per favorire la vendita: magari attraverso il funnel marketing.

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Realizzazione siti web aziendali: caratteristiche principali

Una volta definita la strategia, si passa alla realizzazione siti web aziendali. Ecco che è importante conoscere le caratteristiche di un buon sito, tratti da tenere in considerazione nella fase di sviluppo. Ne abbiamo raccolti alcuni:

Funzionale

Prima di tutto, il sito deve rispondere all’obiettivo che gli è stato dato. Testi, articoli, grafiche, sezioni, tutto deve andare nella stessa direzione: essere facilmente utilizzabile dall’utente. Il sito fatto bene è chiaro da usare alla prima visita, le informazioni si trovano facilmente, la grafica rispetta criteri di fruibilità prima che di artisticità.

Responsive

Il sito deve adattare la sua struttura e i suoi contenuti in base al dispositivo da cui viene aperto. L’esperienza dell’utente da computer non è la stessa di quella di uno da smartphone, per cui ogni versione deve garantire la miglior esperienza dal dispositivo per cui è pensata.

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Veloce

Il sito web aziendale deve caricare in pochi secondi. È provato che le persone non aspettano più di due o tre secondi prima di stancarsi e cambiare pagina. Durante lo sviluppo sito web aziendale è importante far sì che non si perda mai la velocità di caricamento.

Sicuro

I siti web devono sempre rispettare gli standard e le linee guida in fatto di sicurezza. Soprattutto se si raccolgono dati di navigazione o se si gestisce un e-commerce, la sicurezza deve essere una priorità.

Scalabile

I migliori siti web aziendali sono pronti ad accogliere e dimostrare la crescita dell’impresa. Sopportano un traffico elevato, hanno un down time minimo, sono modulari nella creazione di nuove pagine e sezioni dedicate a nuovi prodotti e servizi.

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Creazione siti web aziendali: obblighi di legge

Esistono degli obblighi di legge nel creare sito web aziendale? Anche se non esiste una vera e propria disciplina di riferimento, esistono alcune norme che vanno rispettate.

L’art. 42 della Legge n. 88/2009 obbliga tutte le SRL a includere nel proprio sito le seguenti informazioni: Partita IVA, Codice Fiscale, Indirizzo completo della sede legale, Ragione Sociale, Ufficio del registro presso cui la società è iscritta e numero d’iscrizione, Numero REA, Capitale sociale, sia il versato che quello esistente nelle casse societarie, Stato di liquidazione della società.
Ditte individuali e società non di capitali hanno qualche obbligo in meno.

L’art. 13, D.Lgs. 196/2003 impone di rendere visibile sul sito l’informativa sulla Privacy, il documento dove si specifica come vengono raccolti i dati personali, come vengono trattati e da chi.
E salvo casi rari sussiste anche l’obbligo d’inserire nel proprio sito web aziendale un banner contenente una prima informativa “breve” circa la richiesta di consenso all’uso dei cookie e un link per accedere all’informativa più “estesa”.

Case history dei migliori siti web aziendali

Per vedere tutto ciò che abbiamo detto messo in pratica, abbiamo deciso di presentare due esempi: il sito web aziendale di Cignoli e quello di Arca Etichette. Si tratta di due siti simili nella struttura, ma con qualche differenza interessante. Eccone le caratteristiche più rilevanti:

  • Entrambi usano il protocollo HTTPS, che certifica le connessioni sicure.
  • Entrambi mostrano all’arrivo dell’utente l’informativa breve per la raccolta dei cookie e rimandano a quella completa.
  • Tutti e due sono responsive, si adattano quindi al dispositivo da cui vengono aperti.
  • Il sito di Cignoli presenta l’azienda e rimanda più volte all’e-commerce, poiché questa è la priorità dell’azienda.
  • Il sito di Arca Etichette è attento a direzionare fin da subito le persone in base a ciò che le interessa: da qui il “menù” a categorie che si trova in homepage dedicato ai settori merceologici.
  • Entrambi i siti includono nel footer, la parte bassa dei siti web aziendali, tutte le informazioni necessarie a identificare l’azienda. In questo spazio sono anche riportati la mappa del sito e i canali social dell’impresa.
  • Entrambi i siti caricano molto velocemente.

Leggi anche l’articolo: Meccanismo unico marketing: perché è fondamentale per vendere

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Meccanismo unico marketing: perché è fondamentale per vendere

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Oggi parliamo di una tecnica utilizzata in genere poco e male: il Meccanismo Unico nel marketing. Il Meccanismo Unico è uno dei concetti fondamentali del copywriting / marketing che permette alle aziende di accompagnare il consumatore all’acquisto. Si tratta di una tecnica utilizzata principalmente durante la scrittura dei testi, ma conoscere il Meccanismo Unico del proprio prodotto-servizio è importante anche per il marketing aziendale in generale. Una volta che è chiaro, può essere infatti utilizzato su tutti i media in maniera consapevole.

In questo articolo presentiamo le caratteristiche del Meccanismo Unico e mostriamo qualche esempio di come può essere utilizzato.

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Meccanismo Unico marketing: cosa è, e perché è cruciale 

Il Meccanismo Unico marketing è ciò che spiega al consumatore come manterrai la promessa della Unique Value Proposition. Il tuo prodotto promette un beneficio? Con il Meccanismo Unico spieghi come e perché riesci a far ottenere quel beneficio.
Se operi in un mercato con tanta concorrenza (praticamente tutti), affermare una semplice “promessa” non basta: ci saranno altre decine di competitor pronti a farne una uguale o migliore. Facendo un esempio, non basta dire che “la mia macchina ha la forma più aerodinamica del mercato” perché chiunque e in ogni momento può spararla più grossa.

Il Meccanismo Unico spiega alle persone perché quella è davvero la forma più aerodinamica di tutte.

L’obiettivo del Meccanismo Unico nel copywriting è quello di “mettere un muro” tra te e la competizione. Quel “perché” non deve poter essere copiato né superato da nessuno. Ecco che allora emerge l’importanza del Meccanismo Unico. Che sia in un testo su un e-commerce, in un blog post, su un sito o nel copy di un tv commercial, il meccanismo unico ha il compito di rappresentare il motivo per cui le persone si sentono sicure a scegliere il tuo prodotto.

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Meccanismo Unico marketing: caratteristiche principali 

Quali sono le caratteristiche principali di un Meccanismo Unico marketing?

  • Si tratta innanzitutto di un meccanismo. Un sistema, una fonte, un ragionamento, una tecnologia, un processo, che valida la tua Grande Idea.
  • È unico. Come dice il nome, non può essere copiato da altri. Devi essere l’unico a utilizzarlo, altrimenti perde di senso ed efficacia.
  • È comprensibile. Come tutto in comunicazione, deve arrivare forte e chiaro. Lo devono capire tutti, in particolare il tuo target.
  • Il Meccanismo Unico è credibile. Le persone non sono stupide e le aziende non devono mai affermare qualcosa di chiaramente falso. Come dicono le mamme, tutti i nodi prima o poi vengono al pettine.
  • Il Meccanismo Unico marketing lascia il segno ed è riconoscibile. Dopo che le persone ne vengono a conoscenza la prima volta, non devono poterlo più dimenticare.

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Meccanismo Unico e Grande Idea 

Il Meccanismo Unico viene spesso confuso con la Unique Value Proposition o peggio ancora con la Grande Idea. Quando questo accade il risultato è un ibrido che, citando un famoso adagio, “non è né carne né pesce”. Quando si fa comunicazione (e dunque quando il brand parla) bisogna essere sempre netti, precisi, chiari. Nessuno ricorda le mezze affermazioni.

Ecco che allora la Grande Idea non deve mai mescolarsi con il Meccanismo Unico. La Grande Idea è la tua Unique Selling Proposition, è la caratteristica più innovativa, speciale, audace del tuo prodotto, che lo rende unico.
Il Meccanismo Unico è il motivo per cui la Grande Idea è vera.

Meccanismo Unico nel copywriting: tradurre le parole in vendite

Il Meccanismo Unico nel marketing e nel copywriting serve fondamentalmente a una cosa: tradurre i concetti in parole, e le parole in vendite. Immaginiamo di essere un consumatore e di avere davanti la possibilità di scegliere tra due magliette di brand simili. La promessa è la stessa: “Questa maglietta è fatta di cotone ecosostenibile”. Uno dei due però aggiunge: “a km0 perché è l’unico raccolto in Italia”.

A parità di prezzo e delle altre leve di marketing, è probabile che la scelta del consumatore cadrà sulla maglietta a Km0 poiché oggettivamente più ecosostenibile. Tutto era lo stesso, ma la seconda ha dimostrato di essere più sostenibile del competitor. Ha usato un Meccanismo Unico.

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Meccanismo Unico nel marketing: esempi

Abbiamo già fatto un esempio di Meccanismo Unico marketing, ma in questo paragrafo ne vogliamo scrivere altri due, per rendere il concetto più chiaro.

  • Primo esempio: Levissima

Una delle più celebri acque italiane promette di essere “altissima, purissima e levissima“. In ogni etichetta e su ogni confezione di acque Levissima, troviamo anche il suo Meccanismo Unico: “Dalle Alpi Italiane“. Il fatto che venga dichiarato che quell’acqua viene dalle Alpi, dalle montagne più alte del nostro Paese è il motivo per cui le persone si fidano della promessa di essere prodotta a notevoli altitudini, di essere molto pura e altrettanto leggera. Una suggestione che si crea nella mente del consumatore e che non dimentica più.

  • Secondo esempio: Giovanni Rana

I prodotti di Giovanni Rana non sono molto diversi da tantissimi altri di pasta fresca e la loro promessa può essere riassunta in “pronta in pochi minuti e fatta con ingredienti freschi”. Nulla di nuovo insomma. Il successo del pastificio Rana oggi è ampiamente attribuibile al suo Meccanismo Unico: Giovanni Rana stesso. Quel signore che vedevamo tutti i giorni in televisione da piccoli ha acquisito negli anni un’aura di autorevolezza non indifferente quando si parla di pasta. La sua firma, la sua presenza stessa di imprenditore con le mani nella farina, è appunto la certificazione che quei prodotti sono figli della sua esperienza e sono dunque unici rispetto a tutti gli altri.
Si, questo secondo caso è un po’ al limite e di certo non facile da replicare, ma lo abbiamo voluto citare proprio per far capire che il Meccanismo Unico deve essere senza alcun dubbio UNICO.

E cosa c’è di più unico di un individuo?

Leggi anche l’articolo: Ottenere traffico sul sito a pagamento con Google Adwords

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