I brand fanno pubblicità, ma possono anche comunicarsi in altri modi? Si e il branded content marketing è uno di questi.
Ormai non è più una novità riservata a pochi pionieri dell’advertising: raccontare storie e creare contenuti vende e sempre più marchi stanno intraprendendo questa strada.
In questo articolo vedremo cosa significa branded content, come si fa e anche qualche storia di successo. Preparatevi ad abbandonare il piedistallo dell’advertising, perché tra la gente si sta davvero bene.
Branded content – significato
La definizione di branded content è presto detta: produrre contenuti di vario genere per veicolare i valori del brand e innescare interazione con il pubblico.
Il punto di forza è proprio l’interazione: raccontando una storia, i brand instaurano un rapporto diverso con il pubblico che risulta più diretto rispetto alla pubblicità tradizionale e si pongono allo stesso livello delle persone, venendogli incontro e, semplicemente, parlando come si farebbe ad un amico. Se paragoniamo la pubblicità a un proclamo annunciato a gran voce, i branded content sono delle conversazioni informali come delle chiacchiere al caminetto.
Quando un marchio fa branded content cerca di raccontare qualcosa di utile per il pubblico. Non pensa a vendere, non vuole propinare un prodotto o un servizio. Vuole dire la sua, esprimere un pensiero, un valore. Il percepito è quello di un dialogo sincero, senza secondi fini.
Da qui gli altri vantaggi di questa pratica: aumentare l’awareness, ma soprattutto la qualità del legame tra customer e azienda. Ancora, aumenta l’engagement, la fidelizzazione e la percezione di un brand che è molto più di un simbolo rappresentato dal logo.
Il branded content è diverso dal native advertising. Con ‘native advertising’ si intende la produzione di contenuti sponsorizzati nella forma ‘nativa’ della piattaforma scelta. Ad esempio, un articolo sull’energia rinnovabile scritto da Enel su Wired.
Queste operazioni comunicano l’azienda, ma non sono necessariamente contenuti che generano interazione. Spesso si presenta semplicemente quel che fa l’azienda senza andare oltre: nel nostro esempio, si racconterebbe di come Enel affronta la sfida delle rinnovabili, ma non si cerca di trasmettere un valore aziendale generando discussione. Ciò non toglie, però, che ci siano casi di native advertising che possiamo anche considerare branded content.
Branded content marketing – tipologie
Si può fare branded content marketing in tanti modi quanti sono i media e i linguaggi utilizzati dagli esseri umani. Branded content può essere un cortometraggio, una competizione sportiva, ma anche un quadro, una canzone, una raccolta di poesie.
Quindi, come scegliere? La regola d’oro è optare per ciò che ha senso inserito in un piano di marketing per PMI o di marketing sanitario. Non bisogna fare un video perché tutti lo fanno come non si deve escludere a priori un’esposizione d’arte perché (quasi) nessuna azienda l’ha mai realizzata. Se ha senso, funziona. Se si prendono decisioni ‘pigre’, il pubblico se ne accorge.
Ciò detto, possiamo comunque individuare una classificazione di diversi modi di fare contenuti branded:
- Raccontare una storia: la strada più percorsa. Ci si trasforma in narratori per raccontare una storia che trasmetta gli ideali del brand. In due parole si fa storytellling d’impresa.
- Intrattenere: creare dei momenti di intrattenimento inseriti nella cornice di significati del brand è un’ottima operazione. Più leggera, più divertente.
- Aprire dibattiti: lanciare un tema, innescare discussioni. Il ‘content’ è minimale e sta più nel gestire la discussione e trarne le conclusioni.
- Servizi utili: inventare un servizio accessorio al brand che sia coerente con i suoi valori.
Branded content – esempi
Le storie di successo di aziende che hanno fatto operazioni di branded content marketing sono innumerevoli. Ce ne sono alcuni, però, che val la pena ricordare.
Le soap opera: può sembrare strano, ma sono state le prime forme di branded content. Nascono in radio, sono dei racconti dedicati alle casalinghe e per questo andavano in onda la mattina. Sponsorizzate dalle aziende di saponi e detersivi, sono un classico esempio di branded content legato all’intrattenimento.
RedBull: un’azienda che da sempre punta tutto sul branded content. Dopo la campagna ‘RedBull ti mette le ali’ smette di fare advertising classico e inizia a organizzare competizioni sportive, tornei videoludici e anche a produrre documentari. Sicuramente un asso del branded content marketing.
Despar: un caso recente, a inizio 2020. Despar commissiona a diversi illustratori la creazione delle sue Digital Visual Novels. Su Instagram, vengono pubblicati questi racconti accompagnati dai disegni degli artisti.
Nike Training App: anche Nike è un brand esperto in questo campo. Arriva, infatti, a inventare un’applicazione per allenarsi a casa che durante la pandemia ha spopolato. Bella, coerente, ma soprattutto utile.
Dumb ways to die: una canzone divertentissima lanciata dalla metropolitana di Melbourne per convincere le persone a fare attenzione a non morire stupidamente non rispettando le misure di sicurezza. Un mix tra cartoon, humor nero e storytelling che ha raggiunto rapidamente la viralità.
Insomma, gli esempi potrebbero continuare all’infinito: gli articoli interattivi tra NYT e Netflix, i migliaia di cortometraggi e di film branded, la campagna di Dove (Real Beauty) e tanti altri. Ma quale sarà il prossimo caso di successo?
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