Questo articolo spiega le basi per lo studio che ho effettuato su come diventare influencer, ovvero diventare famosi sui social media, e come funziona l’algoritmo di Instagram, che mi ha assorbito a fasi alterne per oltre 6 mesi, e mi ha permesso di passare da 500 a 11.000 fan reali su Instagram, ed essere scelto come influencer per svariate campagne nazionali. I concetti qui espressi sono basilari per comprendere perché sono arrivato a determinate conclusioni e poiché oggi a mio avviso non vi sia sostanzialmente alternativa ad esse. Questo articolo è preparatorio per comprendere lo studio che mostrerò nel prossimo articolo e che linkerò da questo articolo.
DISCLAIMER: Il contenuto di questo articolo risulta destabilizzante perché infrange una serie di luoghi comuni dello storytelling consolatorio contemporaneo del tipo “con impegno e costanza puoi farcela“, “i social hanno dato il potere al popolo“, “se vuoi puoi“, “i soldi sono lo sterco del diavolo“, “i contenuti sono la cosa più importante“.
Se pensi che non puoi rinunciare a uno di questi concetti allora EVITA di leggere l’articolo, poiché il senso di frustrazione che ne deriverà ti farà comunque dubitare per intero dell’analisi, e non ti voglio rubare altro tempo. Ora è il momento di scegliere quale pillola prendere.
Premessa 1: Perché usiamo i social?
Le risposte appartengono solo a due categorie: gratificazione emotiva se siamo semplici utenti, oppure gratificazione economica se siamo in qualche modo attori economici. Non voglio addentrarmi nella spiegazione dell’ovvio: essere apprezzati dalle persone che amiamo ci piace (tanto quanto essere odiati da quelle che disprezziamo). Per approfondire il tema c’è questo studio citato infinite volte sulle motivazioni alla base dell’uso dei social media.
Se siamo attori economici siamo coscienti che essere famosi sui social porta vantaggi economici diretti e indiretti: più clienti per la nostra attività, venire pagati come influencer per promuovere prodotti, ricevere prodotti gratuiti da testare e recensire, essere invitati come opinionisti in tv…
In entrambi i casi usiamo il social con un obiettivo preciso, abbiamo delle specifiche motivazioni e la gran parte di queste passano dall’ottenere visibilità: la moneta del nuovo millennio.
Avere uno scopo significa godere nel raggiungimento di questo scopo, o essere frustrati rispetto il non raggiungimento dello scopo. Questo è l’elemento chiave che ci incatena all’esperienza social.
Nel proseguo dell’articolo il focus riguarda il raggiungimento della notorietà perché guido un’agenzia di comunicazione ed elaboro strategie per ogni singola campagna social per far guadagnare di più i clienti e non sono un sociologo. Per questo motivo nel seguito della trattazione si fa coincidere la vittoria con l’aumento di popolarità, affrontando il caso dell’utente attore economico.
Premessa 2: Cosa significa Pay per Win?
Hai mai giocato a quei videogiochi gratuiti da smartphone che vanno tanto di moda tipo Candy Crush o Clash Royale? La gran parte di questi giochi funzionano con un meccanismo chiamato Pay Per Win. Il sistema ti fa vincere un tot di volte minime, iniziali, gratuitamente, per farti vedere che il gioco è divertente; ma da un certo punto in avanti inizi a perdere sempre più spesso. Per ricominciare a vincere hai solo 2 opzioni: giochi ore fino a vedere abbastanza pubblicità, oppure inizi a pagare comprando power up.
L’esperienza dentro un gioco Pay per Win si muove tra gratificazione e frustrazione ed è costruita per legarti al gioco mentre fai guadagnare alla piattaforma quello che è stato accuratamente pianificato a tavolino. Le tue abilità contano molto poco, quasi zero.
Devi produrre X euro ogni N quadri del gioco, altrimenti chi gestisce il gioco non guadagna abbastanza o perde denaro. Tutti i giochi gratuiti, salvo qualche raro caso, hanno questo meccanismo alla base. Come puoi fare a capire se stai giocando a un gioco Pay per Win?
Innanzitutto se è gratis quasi certamente è Pay per Win, poi c’è un metodo infallibile: perdere in certi casi diventa impossibile. Questo nodo è fondamentale perché offre la cosiddetta prova inversa. Se ci sono degli incontri o dei livelli in cui pure un gatto che tocca a caso lo schermo riesce a vincere, allora il gioco è un Pay per Win, e le tue abilità sono inutili.
Questo meccanismo è alla base della gran parte dell’economia dell’intrattenimento gratuito legato agli smartphone, in cui o generi abbastanza soldi dalla visione della pubblicità oppure paghi. Perché creare videogiochi costa. Tanto.
Torneremo più in là su questo argomento, quando analizzeremo l’algoritmo di un noto social network. Perché anche creare social network costa. E molto di più.
Ricapitoliamo: Cosa significa Pay per win? Significa che devi produrre X euro ogni N quadri del gioco. Se progredisci troppo velocemente non fai tornare i conti alle casse dell’azienda. Per cui per vincere devi pagare. L’esperienza in un prodotto Pay per Win viene fatta oscillare tra gratificazione (ti lego) e frustrazione (generi fatturato).
Premessa 3: Sui social i contenuti sono sopravvalutati da chi li crea.
Selfie, panorami, macro foto di fiori e cocktail, tette e culi, gattini, torte, bistecche, tramonti… Che bello eh? Come siamo uniformemente originali! Hanno analizzato Instagram e i contenuti pubblicati dagli utenti, ed è emerso che tutti facciamo le stesse foto. Se fossimo persone davvero obiettive lo capiremmo anche da soli che anche noi facciamo foto identiche a migliaia di altre persone: basta farsi un giro sugli hashtag per capire che “non siamo speciali” (cit. Tyler Durden). Non ci credi ancora, troppo difficile da digerire?
Quel mattacchione del fotografo Oliver Kmia ha fatto un intero progetto su questo tema: “Instravel – A Photogenic Mass Tourism Experience”. Il video è molto divertente e lo puoi vedere qui sotto, e spero basti a farti capire che ciò che distingue un influencer dagli altri non sono certo le sue foto.
Il nichilismo alla Fight Club non è però l’obiettivo di questa premessa. Ma è il punto di partenza per una riflessione:
DOMANDA: Se tutti pubblichiamo foto simili, e se Instagram/Facebook sono piattaforme free, perché qualcuno diventa famoso e moltissimi altri restano dei signori nessuno?
Ancora qualche dubbio? Passiamo alla Premessa n.4
Premessa 4: Cosa è il Tasso di Engagement / Engagement Rate?.
Cosa è il Tasso di Engagement / Engagement Rate? È la percentuale di utenti che interagiscono con i tuoi contenuti. Secondo lo Studio di Smart Insights sugli account Instagram è possibile tracciare una curva ben definita del Tasso di Engagement in funzione dei fan che uno possiede. Il grafico per semplicità lo riporto qui.
Questo grafico ci dice che quanti meno follower hai, tanto più in percentuale interagiscono con i tuoi contenuti. Gli autori dell’articolo, e lo storytelling consolatorio di chi vende corsi sui social media, attribuiscono questo risultato alle nicchie di pubblico e a tanti altri fattori sociologici. Non inserisco curve per il tasso di engagement su Facebook perché quello organico, ovvero nativo, senza inserzioni a pagamento, è diventato talmente basso da essere del tutto inutile parlarne. Tant’è che ormai davvero non ne parla più nessuno.
Date le premesse 1, 2 e 3, 4 però sorgono delle domande esistenziali che mi sono posto in merito ad Instagram, il social network oggi dal futuro più promettente, dal tasso di crescita maggiore, e dal ritorno in termini di visibilità notevole rispetto a un Facebook oramai alla frutta:
- Perché è molto facile arrivare a 700-1000 fan e poi ci si ferma miseramente?
- Come mai il tasso di engagement dei profili crolla quanto più acquisisci fan passando da una media del 10% quando hai 200 follower al 3,6% di Aprile 2017 (oggi è circa il 2,3%) per profili con 10.000 follower?
- Come mai possiamo parlare di tasso di engagement? Se fossimo tutti tanto unici e speciali, non sarebbe insensato effettuare calcoli di questo tipo?
- Non è che il Tasso di Engagement è una firma dell’algoritmo Pay per Win di Instagram?
“Le regole di base sono le stesse, e ricorda che queste regole sono simili a quelle di un sistema di elaborazione dati: alcune possono essere eluse, altre infrante.” (Morpheus)
Conclusione 1: La pubblicità sui social network fa parte di un sistema Pay per Win
I social network sono gratuiti. L’esistenza delle piattaforme si basa sul fatto che vi sono inserzionisti disposti a pagare pubblicità sui social network ed utenti che guardano questa pubblicità. Ogni volta che guardi o interagisci con una campagna social, la piattaforma incassa del denaro.
Come nei giochi Pay per Win.
Se riuscissi a rendere i tuoi post e la tua pagina estremamente popolari spendendo poco tempo sul social, non produrresti abbastanza fatturato e non tornerebbero i conti. Se fosse troppo difficile ottenere apprezzamento da parte dei tuoi amici o fan, ti annoieresti e cambieresti social. Per questo motivo esistono degli algoritmi che decidono la tua esperienza in base al fatturato che generi. Nella gestione social network se fai sponsorizzazioni paghi, per cui ottieni visibilità. Subito. Se vuoi fare tutto gratis allora devi produrre tantissimi tantissimi post per compensare. Per crescere di popolarità dovrai vedere tanta pubblicità, interagire con gli altri utenti.
Se lavori molto e bene per il social (come se fossi un dipendente di Facebook o Instagram o YouTube…), vieni ricompensato con la visibilità.
È evidente quindi che anche i social sono una piattaforma Pay per Win.
Conclusione n.2: Impara a fare buoni contenuti, ma sappi che non basterà.
I corsi sui social in cui spiegano segreti favolosi per fare successo sono CAZZATE. Ci sono delle regole di buon senso da rispettare, tra cui il fatto che ciò che pubblichi deve essere in qualche modo bello e interessante. Queste regole base è bene che si imparino, perché “Hai voglia a mettere rum, ma nu strunz nun’addeventa babbà” ma nessuno potrà farti mai sconfiggere l’algoritmo in maniera gratuita.
Chi dice di poter sconfiggere gratuitamente l’algoritmo MENTE: letteralmente ti prende per il culo.
Ci sono un sacco di marketer e formatori che provano a imbrogliare la gente mostrando numeri FASULLI. Ma del resto quanta gente ha comprato gli elisir da Wanna Marchi?
Conclusione n.3: Gli algoritmi dei social oggi sono molto differenti fra loro
Assodato il meccanismo del Pay per Win, sappiamo che ogni social ha un suo algoritmo e questo algoritmo decide quanto tu possa crescere o meno e quanto ciò che pubblichi diventi virale o meno. Su Instagram otteniamo facilmente parecchi like dai follower anche se ne abbiamo pochi mentre su Facebook fatichiamo a ottenere qualche like anche se abbiamo centinaia di amici. Tutto ciò fa supporre che gli algoritmi siano molto diversi. Esiste la possibilità di crescere ottimizzando un budget?
Conclusione 4: La fine dell’inizio. Affrontare Matrix ad armi pari con una campagna social ad hoc.
La domanda che nasce allora è: esiste una maniera per piegare ai nostri scopi, pagando il meno possibile, uno degli algoritmi dei social più famosi? Possiamo cioè ottenere grandi risultati pagando “poco”? Su quale piattaforma dovremmo puntare per una campagna social?
Ti annuncio già che la risposta è SI. Si può fare.
Intanto inizia a digerire questa pillola rossa, che già so sarà indigesta per molti.
Appena sarai pronto, leggi l’articolo su come funziona l’algoritmo di Instagram.
NOTA 1: Cambridge Analytica e il falso mito che “Facebook guadagna vendendo i nostri dati!!!1!11!!!”
Il caso Cambridge Analytica ha dimostrato probabilmente una volta per tutte che i social più quotati non guadagnano vendendo i dati degli utenti. In un caso pieno di connivenze e angoli bui si è dimostrato che Facebook ha semplicemente messo a disposizione in maniera aggregata un sistema per inviare la pubblicità ad un pubblico ben definito, scelto mediante dati demografici ed interessi, ma di cui l’inserzionista pubblicitario non ha mai conosciuto l’esatta composizione. Facebook quindi ha confermato di guadagnare dalla vendita di spazi pubblicitari.
Faccio proprio l’esempio pratico. Mettiamo il caso che io voglia fare una pubblicità sui social network per vendere cuscini per gatti del Milan. Faccio uno studio e capisco che il mio target sono i maschi tra i 30 ed i 50 anni, che al contempo amano i gatti ed il Milan, e che magari hanno anche il like alla pagina di Amazon, così da essere certo di trovare un pubblico che sa usare la carta di credito per pagare online.
Facebook indirizzerà a loro la mia pubblicità, ma io non saprò mai chi sono le persone facenti parte d questo gruppo. Facebook vende spazi pubblicitari mirati e non dati. Per cui per vivere gli serve che la mia pagina di cuccette per gatti del Milan non sia così visibile da consentirmi di vendere i prodotti senza comprare sponsorizzazioni.
Nota 2: L’eccezione che conferma la regola.
È abbastanza dura accettare che senza soldi non riusciremo mai a mostrare i nostri contenuti a una platea abbastanza ampia e “vincere” nel gioco dei social. Significa accettare che i soldi rendono potenti e che senza soldi “non sei nessuno”.
È normale quindi che a questo punto nella testa di alcuni lettori si inneschi il meccanismo di autodifesa che cerca di invalidare la tesi ponendo esempi di persone diventate famose senza spender nulla e in brevissimo tempo. È OVVIO che può succedere, del resto vicino a migliaia di band che fanno 10 anni di gavetta c’è sempre un cantante che diventa famoso alla sua prima canzone e vive di rendita il resto della sua vita.
Tuttavia pensare di basare la propria strategia di comunicazione e la campagna social sulla fortuna, sul biglietto della lotteria vincente, francamente lo ritengo stupido.
Diceva mio nonno: “Chi dal gioco aspetta soccorso, fa i peli come l’orso”.
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